INTERVISTA A MICHELE D’IGNAZIO PER “FATE I TUONI”

QUANDO IL MARE UNISCE INVECE DI DIVIDERE

CRISTINA MARRA 08/03/2024
LE INTERVISTE DI CRISTINA
FATE I TUONIReggio Calabria. Ci sono frasi che ricorrono, parole che si incontrano, venti che uniscono, mani che parlano e spiagge che accolgono, ci sono sogni e speranze e sguardi verso il futuro, c’è soprattutto la parola accoglienza nel nuovo romanzo di Michele D’Ignazio “Fate i tuoni” edito da Rizzoli.

La bella illustrazione di copertina di Lidia Ziruffo ingloba la storia corale di un paesino della Calabria per il quale vale l’esortazione di Carlo Levi “il futuro ha un cuore antico” e di due giovani Zaira e Murad che con lo sguardo rivolto verso il mare cercano la pace e la rinascita. Il mare è il trait d’union, il comunicatore di speranze, il custode di storie, il  traghettatore di sogni che accarezza le spiagge che lambisce consegnando doni o trasportando messaggi da una costa all’altra.

D’Ignazio ha il talento per la scrittura poetica sin dal suo esordio con “Storia di una matita” e sa  leggere a fondo il significato delle parole e restituisce loro amore e dignità. Ispirata allo sbarco della nave Ararat sulla costa di Badolato nel 1997 che accolse nel paese vecchio 825 persone aprendo loro case, Fate i tuoni si tuffa nel presente più vicino, rimanda alla strage di Cutro e alle spiagge dove spesso gli immigrati arrivano come un messaggio dentro la bottiglia ma senza vita lì dove si schiudono le uova delle Caretta Caretta che vanno incontro al loro destino in mare.   

Michele, il romanzo inizia con un prologo. Tutto comincia da un frammento di barca?FATE I TUONI

Esatto. È un dono che mi hanno fatto alcuni anni fa e io lo considero un amuleto, per due motivi: innanzitutto, osservandolo e toccandolo, è come se mi facesse vedere ciò che è successo su quella barca, come se fossi stato lì, durante il lungo viaggio sul mar Mediterraneo e nei momenti concitati dello sbarco. In secondo luogo, perché mi ha tenuto ancorato a questa storia: a volte me ne allontanavo, seguendo tanti altri progetti, ma quel piccolo frammento di barca mi ricordava che dovevo scrivere questo libro.
 
Il mare nella storia diventa luogo di viaggio, mezzo per comunicare, custode di segreti e verità. Dall’episodio dello sbarco a Badolato a quello doloroso a steccato di Cutro, quanto è stato difficile ed emotivamente forte raccontare quel mare e quelle spiagge?

Io volevo raccontare una storia bella, così come è stata l’accoglienza degli abitanti di Badolato quando, nel lontano 1997, avevano ospitato nelle case del paese vecchio tantissime persone sbarcate con la nave Ararat. Davanti a ciò che è successo a Cutro rimane un senso di amarezza e rabbia, perché non tutti, purtroppo, hanno avuto il destino felice di Murad, uno dei due protagonisti di “Fate i tuoni”. Non tutti, su quella barca, sono riusciti a raggiungere la costa.
In questi ultimi anni, si sono fatti dei passi indietro e la mia speranza, e uno dei motivi per cui ho scritto il libro, è che si possa tornare a quello spirito solidale e a quella genuinità che hanno
ispirato “Fate i tuoni”, rispecchiandosi nelle persone che vivono d’amore, in Calabria, e non solo qui, e che tutti i giorni, lontani dai riflettori, fanno sì che il mondo sia un posto bello e accogliente, un posto dove i bambini possano sorridere e giocare.
 
FATE I TUONIIl romanzo è anche di attese, dalla schiusa delle uova di caretta caretta a quella  dell’arrivo di gente nel paese che muore. Il mare accoglie e restituisce?

Sì, c’è un continuo scambio tra il mare e la terra. Vengono lanciate in mare 302 bottiglie con dentro un messaggio e dopo pochi giorni sbarcano 302 persone. Con la schiusa delle uova, 92 piccole tartarughe raggiungono il mare e, dopo pochi attimi, 92 persone raggiungono la costa. Tutto è collegato. Tutto, a suo modo, comunica. Accoglie e restituisce. In un mondo che va troppo di fretta e sembra essere unidirezionale, a volte ce ne dimentichiamo.
 
 Zaira e Murad due dodicenni coraggiosi e intraprendenti. Cosa li spinge a non mollare?

La loro forza di volontà. Gli incoraggiamenti che arrivano dagli adulti. Il senso innato di speranza e di futuro che i bambini e gli adolescenti hanno dentro di loro. Un talento a tutti gli effetti, che bisogna custodire. Henry Thoreau scriveva: “Ogni bambino, in qualche modo, ricomincia da capo la storia del mondo.”
 
Le parole. Hai un profondo rispetto per le parole. “Le parole sono una catena di immagini, di luci, di suoni” scrivi. Si possono fare tuoni con le parole, qual è il segreto per comprendere fino in fondo il significato di parole che a volte ci spaventano?

La paura a volte deriva dalla non conoscenza. Quindi il mio consiglio è di pronunciare le parole, di scomporle e ricomporle, giocare con loro, capire e riflettere sul profondo significato che ogni parola custodisce. È il lavoro di chi scrive. Avere cura delle parole. Ma dovrebbe essere una pratica quotidiana per tutti. C’è un paragrafo del libro a cui sono molto affezionato. Si intitola “Nomi”. La dignità di ognuno di noi passa dal proprio nome. La dignità di ogni cosa passa dalle parole che usiamo.
 
Quanto la tua Calabria ti ispira le storie?

Tanto. È una terra incredibile e incantata. In alcuni luoghi il tempo scorre più lentamente e si conserva una saggezza arcaica che rischia sempre più di essere delegittimata. Dobbiamo smarcarci dalla retorica di una terra arretrata. Al contrario, siamo avanti in molti aspetti, ma non ce ne rendiamo conto.
 
Fare tempesta, fare rumore, alzare la voce in nome della pace e dell’accoglienza. I tuoi lettori ti seguono da “Storia di una matita”, cosa ti aspetti susciti questo romanzo?

Non lo so, ogni pubblicazione è un viaggio e lo affronto a cuor leggero, a mente aperta e senza troppe aspettative. Credo e spero che molti lettori vedranno un cammino, dal primo libro fino a quest’ultimo, passando per tutti gli altri. Per me, la scrittura rimane una forma di crescita e di meditazione. Queste parole possono suonare un po’ anacronistiche, in un mondo editoriale che è sempre più mercato e marketing, dove la fretta e la quantità dominano ormai sulla ricerca e la qualità. Ma io vado avanti per la mia strada e spero di trovare tanti compagni di viaggio, giovani e grandi.
 
Prologo, diviso in tre parti e con Epilogo, il romanzo può considerarsi anche a finale aperto, in progress?

Io amo i finali aperti. Questo in realtà, rispetto ad altri miei libri, lo considero abbastanza compiuto. In ogni caso, non so ancora se ci sarà una continuazione. Non lo sapevo quando ho pubblicato “Storia di una matita”, che poi ha avuto due seguiti. Così come non lo sapevo quando è uscito “Il secondo lavoro di Babbo Natale”, anch’esso poi diventato trilogia. Vedremo…
 
I luoghi, il passato e anche i suoni nel romanzo riecheggiano sempre. Ci sono anche personaggi reali a cui ti sei ispirato, per esempio per il personaggio di Nik?

Il personaggio di Nik è a metà tra Gianni Verdiglione, che a Badolato ha davvero organizzato il lancio delle bottiglie in mare e ha immaginato il vicolo della poesia, e Nik Spatari, grande artista visivo calabrese, una personalità che ho avuto il piacere di conoscere, realizzando nel 2010 un documentario su di lui: un artista che lascia il segno.
 
Come Nik non ha l’udito ma “aveva imparato a sentire la voce delle persone”, tutti i tuoi personaggi hanno una mancanza, una carenza fisica o affettiva ma la colmano in altro modo?

È normale, secondo me. Chi ha una mancanza, impara in fretta ad affinare altri sensi. Capisce presto che, nella vita, quando una porta si chiude, se ne apre un’altra. Bisogna guardarsi intorno, vedere ciò che la realtà ci offre, ingegnarsi e costruire alternativ

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